La rete è un’astrazione relazionale: ognuno di noi quando pensa alla rete professionale si crea un’immagine mentale, una fotografia composta da svariate interconnessioni.
Quando pensiamo alla rete ci viene in mente quella dei pescatori e non è scorretto a mio avviso riconvertirla in ambito relazionale perché la rete dei pescatori è un intreccio di fili che per poter sostenere un buon quantitativo di pesce deve essere necessariamente solida, e quindi direi ben interconnessa. La stessa rete è costituita anche da buchi ossia a mio avviso degli spiragli nei quali potersi esprimere. Nel mondo professionale infatti la rete diviene importante tanto più è in grado di far esprimere la capacità di ognuno di creare dei forti legami che lascino spazio all’espressione della propria professionalità e personalità.
Fare rete è un’espressione che accompagna molte dinamiche lavorative e personali ma quanto siamo in grado di rendere attiva e vera questa rete? Questa è la domanda necessaria che ognuno di noi deve porsi come professionista perché il “fare rete” non resti solo una bella espressione.
Fare rete significa entrare in contatto con gli altri affinché ci si possa FIDARE delle potenzialità altrui e quindi pensare che l’altro diventi un vero riferimento per se stessi e quindi per la propria professione e per essere davvero operativa deve avere come principio basilare la ricerca e la connessione con professionalità di diversa natura seppure apparentemente poco affini.
Puntualizzo che fare rete non significa solo mettere in contatto ma PARTECIPARE alla rete stessa mediante desiderio di APPARTENERE. L’idea dell’appartenenza alla rete è necessaria in quanto ci rende protagonisti e ci mette in una posizione pro-attiva, direi PROGETTUALE – elemento cruciale senza il quale l’alleanza relazionale perde di significato. Ciò ci induce a considerare che fare rete significa anche avere desiderio di partecipare alla progettazione anche con professionalità apparentemente diverse e distanti.
FIDUCIA, APPARTENENZA, PARTECIPAZIONE e PROGETTUALITÀ sono elementi quindi sostanziali per sviluppare una rete solida e significativa, funzionale al proprio obiettivo professionale, senza tali caratteristiche la rete risulta svuotata di significato e quindi solo appunto una bella espressione.
Categoria: Pedagogia
Il conflitto in età adolescenziale
La parola conflitto rimanda a termini quali combattimento o urtare una cosa contro l’altra e per tale ragione assume un significato negativo, una situazione di cui preoccuparsi, da evitare e di cui aver paura.
BISOGNEREBBE SEMPRE EVITARLO?!
A mio avviso il conflitto quando si hanno figli in età adolescenziale è essenziale in primo luogo perché banalmente permette all’adolescente di esprimersi e di lanciare un messaggio all’adulto. Volutamente ho utilizzato due termini “esprimere” e “lanciare un messaggio” in quanto il conflitto non è necessariamente parlato, può essere silenzioso e profondo: non mi cimenterò nel raccontare quale sia meglio perché reputo che non esista una risposta unanime e migliore in quanto tutto si gioca sulla personalità degli interessati e sulle diverse capacità di dialogarlo.
PERCHE’ L’ADOLESCENTE NE HA COSI’ BISOGNO?
L’adolescente è in continua lotta con se stesso, con se stesso e il mondo, la società, le regole ma in primis con la famiglia, una piccola società nella quale vi sono ruoli e regole da condividere e da rispettare. Ed è proprio qui che nascono i primi conflitti, luoghi dove i ragazzi si sperimentano e si preparano al mondo esterno e per questo quindi necessari e formanti; la famiglia pertanto non deve averne paura ma deve farne i conti e pre-vederli come una delle tappe evolutive.
QUAL E’ IL RUOLO DEL GENITORE?
Il ruolo del genitore quindi sarà quello di essere presente, senza esercitare una presenza pressante e solo fisicamente ma fornendo una presenza sostanziale, autentica e interessata ai suoi interessi; volgere lo sguardo ai propri figli adolescenti significa cercare di comprendere i loro stati d’animo senza fornire loro delle interpretazioni ma cercando un dialogo che a volte può essere anche urlato, silenzioso o sfidante. Ciò può fare paura perché sembra tutto sbagliato e tutto confusionario ma una valorosa psicologa con la quale ho avuto l’onore di lavorare mi ha insegnato che a volte bisogna avere il coraggio di aspettare: aspettare i loro tempi, aspettare i tempi della relazione, i tempi anche nostri di saper ascoltare.
Ma la presenza non basta, dobbiamo essere un modello per loro: le parole sono forse necessarie ma non sufficienti perché per i ragazzi il modello comportamentale assume un enorme significato. Quante volte si sente apostrofare un genitore dal proprio figlio “sei un ipocrita” ed è proprio ravvisabile nel modello che il genitore mantiene durante la vita quotidiana che permette all’adolescente di identificarsi con lui, di lottare contro di lui e di prendere le parti migliori per se stesso: alla continua ricerca della propria identità.